2 nov 2015

FAPPANI PER GQ ITALIA, L'INTERVISTA 2014

SE NEL 2014 L'AVETE PERSA, ECCOLA QUI !
L'UOMO DA 4 MILIONI DI DOLLARI (!)
INTERVISTA REALIZZATA DA VITTORIO VITERBO X GQ ITALIA (2014)
"C’era una volta il West? C’è ancora, ma parla bergamasco"
Intervista ad Andrea Fappani by GQ Italia (2014)
Subito dopo i WEG 2014 (che ho avuto il piacere di commentare per SKY, Class Horse TV assieme nel solito duo Penza-Rovatti), il settimanale di Sport GQ ha realizzato questa intervista ad Andrea Fappani, italico enfant prodige che poi tutti sappiamo aver preso nazionalità USA, tanto da concorrere con il loro Team all'Oro a Squadre vinto appunto dagli Americani ai WEG 2014 (una sua volontà che personalmente è l'unica cosa che un pò mi spiace rispetto alla carriera di questo grande campione - ma ognuno fa le sue scelte, per carità - ). 

L'intervista mi era sfuggita (lo ammetto) e oggi qui la ripropongo volentieri. Ovviamente si tratta di un pezzo più "generalista" rispetto alle sottigliezze e tecnicismi  a cui è abituato il pubblico di Reiners più sfegatati, ma è comunque un buon pezzo che racconta gli inizi della carriera di Andrea e alcuni aneddoti simpatici. Eccolo qui di seguito in versione integrale, realizzato da Vittorio Viterbo x GQ Italia :
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<< Macché “Spaghetti Western”. Macché “Western all’italiana”. Quella di Andrea Fappani è una storia davvero fuori dall’ordinario ma fatta di realtà, passione, dedizione: non capita tutti i giorni che un bergamasco di 37 anni diventi un asso a livello mondiale del reining, una disciplina equestre complicatissima, sia uno dei pochi ad aver vinto oltre tre milioni di dollari di premi, possieda un grande ranch in Arizona e lì riesca ad eccellere anche come istruttore sia di uomini che di cavalli.

Proprio così. Fappani, figlio del proprietario di una grande azienda agricola nel Bergamasco, è andato negli Stati Uniti nel ’97, alla scuola di un celebre campione di reining. Oggi è sposato con una bellissima americana di nome Tish, conosciuta a cavallo nel ’98, ha due figli di nome Luca (10 anni) e Jeremy (7); quando non è on the road per qualche gara, è nel suo “Rancho Oso Rio” a Scottsdale – detta anche Rio Verde – in Arizona.

Cos’è il reining. La definizione ufficiale è …«una specialità dell’equitazione americana nella quale si evidenziano le doti atletiche e di addestramento tipiche del cavallo da lavoro nei ranch… lo scopo consiste nel mostrarne l’abilità atletica entro i ristretti confini di un campo di gara da equitazione …giudici qualificati sono preposti alla determinazione del punteggio ed emettono il verdetto basandosi su regole stabilite, con le quali valutano l’esecuzione dei percorsi, o pattern, che sono 10 e prevedono manovre obbligatorie». Il tutto, senza che i sopraddetti giudici si accorgano dei comandi che il cavaliere impartisce al proprio destriero.

Bene: pochi giorni fa, in Normandia, Andrea Fappani si è portato in testa alla classifica mondiale vincendo la prestigiosa medaglia d’oro del reining all’World Equestrian Games 2014 della FEI (Fédération Equestre Internationale) in cui competono i migliori atleti di 60 nazioni di 8 discipline: jumping (salto ostacoli), dressage, eventing o concorso completo, driving o attacchi, reining, vaulting o volteggio, endurance e para-dressage).

Un bravo ragazzo di Bergamo che possiede un enorme, meraviglioso ranch in Arizona ed eccelle in una disciplina equestre da cowboy avanzatissimo… una vicenda affascinante.
«Sì, è una storia un po’ diversa da quella dei miei compagni di scuola. Ho cominciato a montare da giovanissimo, il papà e la mamma avevano un po’ di cavalli da salto ostacoli, come hobby; ho cominciato a far lezioni a cinque anni. E da lì sono andato avanti».
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Molto avanti! Immagino non le insegnassero a cavalcare da cowboy.
«No. La passione per la monta americana è nata dopo due o tre anni, grazie a un amico di mio padre che aveva iniziato a fare questo strano sport chiamato “reining”. A quei tempi, qui, se ne sapeva poco. Cercava di convincerci a provare con lui, a fare un po’ di lezioni. Noi, sicuri che la monta all’inglese fosse l’unica seria, abbiamo resistito senza pensarci più di tanto. Poi, dopo un po’ di mesi che ci diceva quant’era divertente, una domenica siamo andati a provare questi cavalli americani, i quarter horses, tanto per fare due risate».

Invece com’è andata?
«Invece ce ne siamo innamorati. La prima volta che abbiamo fatto qualche scivolata nelle stoppate ci siamo guardati e abbiamo capito. “Mah, proviamo un po’ di più”, abbiamo detto. Mio padre aveva un’azienda agricola di vacche da latte a Bergamo, per cui di spazio ce n’era…. Abbiamo iniziato ad allenarci, abbiamo comprato qualche cavallo negli Stati Uniti».

Bella fortuna, condividere la passione con i genitori.
«È vero, sono stato sempre molto fortunato. Avevamo la stessa passione, e loro avevano i mezzi, possibilità finanziarie necessarie ad esercitarla al meglio. Papà ne a comprati due, uno per lui e uno per me… e così è cominciata l’avventura. Che è continuata lì, a Bergamo: abbiamo montato sempre a casa, finché ho finito il liceo».

Già faceva gare?
«Sì, come dilettante. Da non professionista ho avuto una carriera abbastanza buona, ho vinto un bel po’. Ma ho sempre avuto il sogno di andare in America. Non tanto o non solo per l’America, quanto per cercare di raggiungere i livelli più alti di questo sport. Sapevo che in Italia il reining era a un buon livello, visto che è stato il nostro Paese a importarlo in Europa; però, per fare il vero salto di qualità, dovevo andare negli Stati Uniti».

E suo papà?
«Continuavo a dirgli che volevo provarci, che un giorno avrei attraversato l’Atlantico per vedere a che livello potevo arrivare, se potevo arrivare al top. Lui mi ha sempre detto che potevo fare quel che volevo; ma sapevo di essere l’unico un po’ in grado di portare avanti l’azienda che la famiglia possedeva da due o tre generazioni. In quel senso era molto dispiaciuto: “Voglio che tu realizzi i tuoi sogni”, diceva, “ma ricordati che qui c’è un’impresa molto lucrativa e il reining lo potresti tenere come hobby”».

Non aveva tutti i torti, forse.
«Infatti ci ho pensato tanto, sapevo che sarebbe stata la cosa più logica. Ma volevo a ogni costo raggiungere i massimi livelli del reining, per cui ho risposto che dovevo comunque provarci: “Dammi un anno prima del servizio militare”. Alla fine del liceo avevo pensato di fare Veterinaria, ma dopo un po’ gli ho detto che non era roba per me…».

Quindi?
«…e che sarei andato negli Usa e avrei passare un anno a montare con uno dei più forti trainer americani. Poi avrei deciso: se pensavo di poter raggiungere la vetta, sarei andato avanti, altrimenti sarei tornato in Italia a lavorare in azienda. Così sono partito. Era il ’97 e sono arrivato in Arizona».

Come mai proprio lì?
«Perché c’era il mio idolo, Todd Bergen, che stava vincendo un po’ tutto. Ci sono rimasto per un anno: papà mi ha comprato un puledro lì, negli Stati Uniti, perché potessi montare con lui senza passare professionista, altrimenti non avrei più potuto tornare nelle categorie dilettanti. Undici, dodici mesi, poi mi hanno detto che sì, avevo talento e potevo arrivare ai livelli che mi ero prefissato».

Fantastico.
«Già. Sono tornato in Italia e, fra le lacrime dei miei genitori, sono ripartito per l’America. Era il 1998-’99. Sono rimasto con Todd Bergen per sei anni; quindi ho aperto un posto mio in California per poi trasferirmi di nuovo in Arizona. Nel frattempo avevo conosciuto Tish, che è diventata mia moglie».

Una storia bellissima, una favola.
«Sì, una di quelle cose che si sognano, e talvolta si realizzano. Ho avuto tanta fortuna: sono sempre stato al punto giusto nel momento giusto, ho avuto genitori dotati non solo di molte possibilità ma anche una mentalità aperta al punto da lasciarmi inseguire i sogni e di sostenermi con tanta fiducia… Devo ringraziare loro e la mia famiglia».

È l’American Dream che si realizza.
«Sì. Per raggiungere i miei obiettivi, negli Usa ci ho messo dieci anni; in Europa forse ce ne sarebbero voluti trenta, e non è detto che ci sarei riuscito. Tutti parlano di “sogno americano”: posso testimoniare che non è un film, che c’è, che esiste. Qui ho trovato la massima disponibilità. Sono arrivato che ero uno sconosciuto ragazzino italiano, mi hanno accolto a braccia aperte, mi hanno dato un’opportunità e nel giro di cinque anni ho raggiunto un milione di dollari di vincite. Cioè ho battuto tutti i record stabiliti dagli stessi americani; dopo quindici anni – sono qui dal ’99 – e dopo 11 anni che lavoro per conto mio, sto per raggiungere i quattro milioni di dollari di premi… Vuol dire essere il numero due al mondo».

Ed esserci riuscito in poco tempo.
«Vero. Qui in America, quando fai bene i risultati li ottieni».

A parte le competizioni, c’è pure da mandare avanti un grande ranch che è anche una specie di scuola.
«Sì, è una scuola sia per le persone che, soprattutto, per gli animali. Io non faccio solo show: il reining è diverso dagli altri sport equestri e dobbiamo addestrare i cavalli sin dall’inizio. Quelli che monto in gara, come questo di otto anni con cui ho vinto in Normandia, ce li portano quando ne sono ancora dei puledri abituati a vivere senza sella. Quindi c’è molto lavoro da fare e serve molto personale. Al ranch oggi abbiamo in addestramento fra i 70 e i 100 cavalli; una decina di persone lavora direttamente con me come assistenti, addestratori, co-trainer. Si tratta di una macchina complessa in cui vengono tantissimi giovani, ragazzi in pratica, a imparare. Come ho fatto io con Todd Bergen. Quindi devo da una parte montare, dall’altra insegnare».

Lei è ritenuto, fra gli istruttori, forse quello che in assoluto lavora di più con i cavalli.
«Sì. Anche perché ho una vera passione per i puledri e voglio a tutti i costi riuscire a stabilire con loro un particolare feeling, un rapporto assolutamente personale. Voglio capirli, uno per uno. E quando ne ho in casa trenta o quaranta da addestrare, uno diverso dall’altro, cerco di spendere con loro più tempo che posso».

Chi segue la gestione vera e propria del ranch?
«Un’altra delle mie fortune: Tish, mia moglie, si occupa di tutta la parte business. È sempre in ufficio a parlare con i fornitori, con gli sponsor, a ordinare il fieno… così io posso stare dietro ai cavalli e ai ragazzi».

Perché il reining è una disciplina complicata. Potremmo definirlo una sorta di “dressage per cow boys”?
«Sì, certo, anche se la definizione più adeguata è “dressage per la monta americana”. Uno sport di finezza, di controllo assoluto dei ogni movimento del cavallo a velocità più alta del dressage, però. Ma la teoria è la stessa: tutte le mosse dell’animale, ogni passo che fa, sono comandate dal cavaliere in modo che i giudici non se ne accorgano».

Com’è possibile?
«Si tratta di un controllo “soffice”, ecco perché l’addestramento è così lungo. Insomma, il cavallo da reining più bello da vedere è quello da cui non traspare alcun comando da parte di chi lo monta, per cui sembra faccia tutto per conto suo. In realtà, ogni due secondi riceve un ordine tramite la voce, le ginocchia, i polpacci, le cosce».

Dopo l’oro importantissimo in Normandia, quali sono i suoi traguardi? Restare numero uno al mondo? «The sky’s the limit», come dicono in America?

«Ecco, sì. Io mi sono sempre posto degli obiettivi molto alti e ho avuto la fortuna di raggiungerli. Naturalmente, dopo un decennio e più a livelli così alti, non possono essere gli stessi di quando ho iniziato. Allora volevo solo vincere la prossima gara e solo a quella pensavo; mentre oggi, che ormai le ho vinte, si tratta più che altro di soddisfazione personale. Mi creda, i traguardi a cui ormai tengo di più non sono quelli che vedono tutti ma sono veramente miei, intimi: soprattutto, il piacere di far raggiungere a un cavallo il massimo della qualità. Per cui, ogni volta che monto in sella cerco di portarlo al limite delle sue capacità. Se nelle gambe ha un punteggio di, che ne so, 72, non mi accontento di un 71 e mezzo: dev’essere 72. Se invece è un puledro da 80, che sia 80. Questo a me importa davvero. Più che essere numero uno al mondo; che sì, è una roba che vede la gente e un po’ di soddisfazione te la dà, però io tengo a raggiungere con ogni cavallo questo livello di perfezione, a stabilire questa relationship, questo rapporto che mi porta al massimo.>>
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